Diffondere le ragioni per un progetto liberaldemocratico

L’umiltà, la lealtà, la coerenza e la riconoscenza sono valori, non disvalori

di Francesco Nucara

Nel bel libro di Paul Ginsborg, "Il tempo di cambiare", si afferma "che esistono scarse prove che l’era della democrazia basata sui partiti sia in declino"; e in altra parte dello stesso libro c’è scritto: "La società civile, per avere successo, deve essere un luogo in cui un individuo si sente benaccetto e in grado di esprimere liberamente la propria opinione, un luogo in cui l’ossequio non ha spazio, nulla si dà per scontato e si mostra diffidenza nei confronti di ogni gerarchia, incluse quelle interne".Si dà il caso che nel nostro piccolo Partito Repubblicano ciò non sia possibile e ad ogni pie’ sospinto si viene imputati del reato di lesa maestà. Per la verità, come repubblicani dovremmo essere collettivamente felici di ledere qualunque maestà. I non credenti, infatti, che non accettano l’esistenza di Dio, tantomeno posso accettare l’esistenza del figlio di Dio.

Sentir dire da qualche pseudo - autorevole esponente del Pri che i meridionali dovrebbero vergognarsi di fare da stampella al governo Berlusconi, fa pensare di avere a che fare con le intemperanze dei monelli che non si rendono conto di ciò che dicono. E l’irragionevolezza di per sé non è condannabile.

Trattandosi di un partito e quindi di una libera associazione presumibilmente di uomini liberi, per dirla con Rawls, l’idea di cooperazione (io direi di collaborazione) "contiene l’idea del vantaggio, o del bene, razionale di ciascun cooperante" e "l’idea di vantaggio razionale individua ciò che i soggetti impegnati nella cooperazione stanno cercando di promuovere dal punto di vista del proprio bene".

Ovviamente cooperare significa che si possono avere i vantaggi propri nell’ambito di un vantaggio collettivo.

Il Pri dall’87 in poi ha speso tutte le sue risorse fisiche, intellettuali e politiche per autodistruggersi.

Una lenta, inarrestabile consunzione senza che mai il segretario dell’epoca trovasse una motivazione degna per spiegare perché un’intera classe dirigente avesse preso la fuga. Erano tutti mascalzoni, venduti, traditori? Beh, se sono stati in tanti, sarebbe ora di chiedere al generale che aveva la guida di quel modesto esercito perché tutto ciò sia successo.

Da meridionale quale sono, anzi da calabrese, sono orgogliosissimo delle mie radici famigliari e territoriali e sono veramente addolorato che di questo orgoglio non possano fruire gli apolidi: non si può essere contemporaneamente milanesi, romani, siciliani, ecc.! Noi, il sottoscritto e la stragrande maggioranza del Pri, abbiamo un progetto: creare il Partito Liberaldemocratico. Avremmo voluto essere aiutati da chi ha avuto esperienze e quindi conoscenze parlamentari in Europa, da chi è stato ministro con funzione di direzione della politica europea.

La gestione personalistica di tutto ciò ha rallentato un processo che è stato ripreso a Milano nell’ottobre del 2007 e che rilanceremo con tutta la forza di cui possiamo disporre al prossimo Congresso di dicembre.

Le caratteristiche umane di qualunque repubblicano, dal più modesto al più autorevole, dovrebbero essere l’umiltà, la lealtà e quel minimo di coerenza e riconoscenza che anche in politica non è affatto disdicevole. Per i meridionali come me, che non si vergognano di esserlo nemmeno quando "comiziano" a Milano, questi sono valori. Per qualcun altro sono disvalori. Il problema è di capire se si tratta di repubblicani che hanno a cuore le sorti del Pri o di ormai semplici iscritti che hanno a cuore solo la loro vanagloria. In quest’ultimo caso non si tratta di repubblicani. Come scrive Dahrendorf nel suo libro "Libertà attiva", "i signori di Aristotele erano indubbiamente liberi, ma in quanto signori nel duplice senso di ‘senza le signore ma con i loro schiavi’, godevano della loro libertà a caro prezzo. Erano liberi a spese degli altri, ossia in una società non libera. Ma l’ordinamento liberale è l’ordinamento per tutti i cittadini". E io aggiungo: anche per i cittadini repubblicani tra repubblicani.

E allora, se siamo tutti uguali tra uguali, come si può pensare alle offese, spesso e volentieri gratuite? Io considero che Dahrendorf abbia ragione e mi auguro che anche gli altri la pensino allo stesso modo.

A quanti pensano a litigi personali e personalizzati, spesso artatamente provocati, consigliamo di essere più cauti. In ogni partita singola o a squadre, per decidere i falli commessi e per decidere chi vince la partita, c’è sempre un arbitro. Nel nostro caso l’arbitro è il Partito e nessun altro. Non crediamo e non abbiamo mai creduto a che qualcuno sia migliore di altri.

Il mio prof. Pompily, quando spiegava il calcolo infinitesimale, concludeva dicendo: "Per quanto tu possa pensare di essere intelligente ne troverai sempre uno più intelligente di te: questo è il calcolo infinitesimale, non c’è mai fine".

Andremo avanti in pochi o molti che saremo con i tanti che, dopo aver lasciato il Pri, chiedono di rientrare a casa. Noi li accoglieremo a braccia aperte senza ammazzare il vitello grasso come è stato fatto a Ravenna.

Con costanza, perseveranza e ragione agiremo per portare avanti un progetto che può vedere la nascita della liberaldemocrazia, dopo la fine del fascismo e del comunismo, veri e feroci avversari di qualunque anelito liberale. Rimane da contrastare il Vaticano: proviamoci a costruire uno Stato laico. E’ il compito che la storia ci ha affidato e che abbiamo smarrito.

Come dice Christine Korsgaard, "diffondere la ragione nel mondo è un’impresa che riguarda la morale più che la metafisica ed è il compito oltre che la speranza dell’umanità".

Proviamoci.